La tragedia del crollo del ponte Morandi non ha causato soltanto morti, feriti e dolori, oltre che immensi danni materiali. E’ diventata, per la forza devastante delle sue immagini, una vera e propria allegoria del nostro tempo e, per nostra disgrazia, dell’Italia contemporanea; per cui, forse, ci vorrebbe un grande poeta (come il Leopardi che nella “Ginestra” indicava il Vesuvio come simbolo della precarietà dell’uomo e della brutale potenza della natura), per raccogliere in versi le immagini delle rovine e delle vittime, e destinarle alla memoria delle generazioni future.
Questa estate è finita improvvisamente il 14 agosto alle 11.36 e, nonostante il calendario e il meteo, l’autunno è entrato con diverse settimane di anticipo. L’autunno con i suoi colori sfumati, le foglie che si staccano dai rami, il cielo sempre nuvoloso e la malinconia delle giornate che si fanno più corte.
Quel ponte crollato (quasi) sui tetti delle case di Genova ci ha mostrato icasticamente che l’Italia non è più il paese che ci hanno consegnato i nostri genitori. In verità, lo sapevamo già da un pezzo, ma forse non avevamo ancora avuto il coraggio di dircelo con chiarezza.
Certamente lo sapevano i piccoli imprenditori distrutti dalla crisi del 2008 e dalle tasse che lo Stato ha continuato a pretendere da loro. E di conseguenza lo sapevano gli operai che sono stati giocoforza licenziati; come pure le migliaia di esodati lasciati senza lavoro e senza pensione da una legge capestro, la cui ideatrice (E. Fornero) scoppiò in lacrime al momento della conferenza di presentazione.
Lo sapevano i pendolari che la mattina e la sera sono costretti a viaggiare nei vagoni stracolmi e mal ridotti dei treni regionali.
Lo sapevano i giovani che lavorano part-time, a tempo determinato, con contratti di formazione oppure a nero; e che non arrivano a mettere insieme uno stipendio sufficiente per pagarsi un affitto e magari pensare di farsi una famiglia.
Lo sapevano gli anziani che pagano sempre più ticket per le loro medicine e si trovano con servizi della sanità sempre più privatizzati e di conseguenza più costosi.
Lo sapevano gli abitanti delle periferie cittadine, che in questi ultimi anni hanno sperimentato l’abbandono da parte delle istituzioni; e hanno visto i loro quartieri avviati al degrado, tra campi rom abusivi e massiccia presenza di immigrati africani.
Lo sapevano, infine, i correntisti di banca Etruria -giusto per citarne una- indotti dai loro “amici” direttori della filiale sotto casa a comprare, con i risparmi di una vita, titoli derivati, rivelatisi poi una truffa vera e propria.
Adesso, però, che l’evidenza tragica della decadenza del Belpaese è stata sbattuta dinanzi all’opinione pubblica e mostrata attraverso i media di tutto il mondo, non è più possibile tacere o far finta di niente.
E il coro delle proteste degli sfollati di Genova, che un po’ ricorda il coro nelle tragedie di Sofocle e che si aggiunge a quello dei terremotati dell’Aquila e dei paesini del Molise, non è destinato ad affievolirsi; anzi, sembra aumentare di intensità di giorno in giorno, e potrebbe veramente segnare l’inizio di una nuova stagione, se trovasse corrispondenza e risposte efficaci nei movimenti politici affermatisi recentemente. Con la speranza che, per tutti gli italiani, questa volta arriverà di nuovo la primavera.
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